Il valore della carta da macero è tornato ai minimi storici come nel 2008, quando la crisi dei mutui subprime aveva fatto sprofondare l’economia mondiale. Oggi i mutati equilibri a livello internazionale, scaturiti dalla guerra commerciale fra Cina e USA (oltre alle nuove politiche di altri paesi del sud-est asiatico), hanno portato ad un surplus di carta da macero su tutti gli altri mercati poiché gran parte del materiale americano destinato al mercato cinese è stato dirottato su altre piazze, determinando un affossamento delle quotazioni della carta da macero. Negli Stati Uniti, ad esempio, alcune municipalità hanno addirittura deciso di in-terrompere le raccolte differenziate e ripristinare lo smaltimento di tutti i materiali raccolti perché economicamente più sostenibile rispetto al ciclo di raccolta, valorizzazione e recupero dei materiali. Recentemente un giornale di Hong Kong ha riportato la notizia di un calo del 45% rispetto a dicembre 2018 del prezzo del cartone; un crollo di mercato che rischia di far chiudere le imprese del settore poiché con prezzi così bassi (75 $/tons) diventa assurdo raccogliere il cartone destinato al riciclo. Da evidenziare la dichiarazione del direttore della Hong Kong Recycle Materials and Reproduction Business General Association: “The US-China trade war has a little bit of effect because the demand would be lower. But this is not the biggest problem. The biggest problem is the mainland fac-tory wants to earn more when it has a chance”. Pesantissime le ripercussioni dei mutamenti del mercato internazionale sul nostro settore.
Per avere idea del trend negativo dei prezzi, il grafico di pag. 16, realizzato da Unirima (Unione Nazionale Imprese Recupero e Riciclo Maceri) riporta l’andamento del prezzo medio del cartone di tipologia 1.04.02 (Materia Prima per cartiera, prezzi franco acquirente), con un crollo da gennaio a maggio di circa il 25%. La (non) chiusura del cerchio Un altro problema è causato dalla cronica insufficienza di impianti per lo smaltimento finale degli scarti non riciclabili, derivanti dal trattamento dei rifiuti recuperabili. Come ben descrive Unirima, ogni filiera di materiali dell’economia circolare deve considerare una percentuale di scarti originati dalla lavorazione necessaria per rendere recuperabili i materiali raccolti. La crescente penuria di impianti per lo smaltimento finale dei rifiuti comporta costi di smaltimento a cifre stellari, con un impatto economico devastante sulle filiere, portando inevitabilmente al blocco totale del ciclo laddove diventassero effettivamente indisponibili.
La causa della cronica carenza di impianti finali è da ricercare nel diffuso atteggiamento dell’opinione pubblica di non percepire l’industria della gestione dei rifiuti come una risorsa. Negli anni anziché favorire lo sviluppo di nuove imprese per la gestione dei rifiuti, soprattutto nei punti critici della chiusura del ciclo, con impianti di trattamento finale, si è sempre ostacolata, sia a livello politico che amministrativo locale, la realizzazione di nuovi impianti o lo sviluppo di quelli esistenti. Questo ci ha reso dipendenti dalla disponibilità di impianti esteri ad accogliere i rifiuti prodotti dal nostro sistema industriale (nei limiti di una legislazione europea volta sempre di più ad una riduzione dello spostamento dei rifiuti, privilegiando la chiusura “in loco” del ciclo).
Esiste infine un problema di legalità che impone un cambiamento di mentalità da parte di tutti i soggetti coinvolti, in particolare da parte dei produttori.
È infatti necessario accettare che il valore del materiale recuperato possa subire delle oscillazione nel tempo. Non sempre, infatti, si possono chiudere contratti che vedano un ricavo nella gestione dei rifiuti recuperabili, bensì può essere a volte necessario sostenere un costo, che oscilla a seconda delle condizioni di mercato.
Non comprendere questo e dare spazio ad imprese che, inspiegabilmente, riescono ad operare
al di fuori delle logiche di mercato, come se fossero indenni ai problemi che affliggono tutte le
imprese della filiera, significa sdoganare operatori economici che sicuramente non agiscono
nel rispetto dell’ambiente e della legalità e, nella peggiore delle ipotesi, sono parte della criminalità organizzata.