L’agricoltura e le foreste sono il luogo della conversione di energia solare in cibo e materie prime per la produzione di beni. Così i sottoprodotti o residui che accompagnano le produzioni agricole e forestali contengono una parte di quell’energia solare. È il caso delle potature di vite e di altre arboree agricole, biomasse solide a cui il settore della bioenergia guarda sempre più con attenzione. La valorizzazione energetica di questa risorsa, quando non reimmessa nel terreno, rappresenta un fattore di convenienza per l’agricoltura, l’industria della bioenergia, il contesto socio-territoriale e l’ambiente.
Il prof. Giuseppe Toscano, responsabile del Laboratorio Biomasse Università Politecnica delle Marche, si occupa da molti anni di biomasse solide residuali ad uso energetico. Con questo contributo ci presenta un breve stato dell’arte sulle potenzialità di utilizzo delle potature di vite.
La carta di identità delle potature di vite
Le potature agricole sono biomasse solide con caratteristiche compatibili con l’uso energetico.
La loro origine le fa rientrare nelle condizioni previste dall’allegato X della 152/06 (T.U. ambiente) e successive modifiche, considerandole biomasse combustibili vergini. In parallelo, la norma tecnica sui biocombustibili solidi, il pacchetto UNI EN ISO 17225, le inquadra come materia prima legnosa derivante da frutteti, prevedendone l’uso anche per generare prodotti energetici densificati come pellet e brichette.
In questi ultimi mesi inoltre, ci sono lavori in atto sul piano normativo. A livello nazionale, ad esempio, la Commissione Tecnica 282 del Comitato Termotecnico Italiano (CTI) sta proponendo una norma UNI che identifica meglio i biocombustibili solidi da potature di arboree.
Qualcosa di simile avviene anche a livello internazionale, dove si sta lavorando su una bozza di norma, la ISO 17225-9 – Hog fuel, che contempla anche i residui legnosi agricoli.
Eliminando l’acqua, che al momento della raccolta in campo pesa per circa il 45% su tal quale, le potature di vite sono costituite prevalentemente da sostanza lignocellulosica, la stessa natura chimica di un legno forestale.
C’è poi una quota di inorganico, pari a circa il 3,5-4,5% in peso su sostanza secca.
L’attenzione sul contenuto in ceneri è giustificato dall’incidenza sulle prestazioni tecniche ed ambientali negli impianti termici. Il contenuto di ceneri gioca un ruolo importante per stabilire la classe di qualità di appartenenza dei biocombustibili. Zolle di terra e impurità frammiste alle potature, conseguenti alla fase di raccolta in campo, possono aumentare sensibilmente il contenuto in ceneri e di altri parametri. Per evitare questi fenomeni è richiesta la scelta di idonee macchine raccoglitrici e l’applicazione di metodi di lavoro adeguati.
In passato su questa biomassa è stata sollevata la questione della presenza di metalli pesanti quali il rame, antiparassitario utilizzato soprattutto per le produzioni biologiche.
Tuttavia, i risultati delle analisi di numerosi campioni di potature evidenziano concentrazioni di questo elemento confrontabili con altri prodotti legnosi di origine forestale o della stessa categoria qualitativa.
Su questo tema, il Laboratorio Biomasse ha svolto un’indagine specifica, in collaborazione con i colleghi di Patologia vegetale del Dipartimento D3A (Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari ed Ambientali dell’Università Politecnica delle Marche). Lo studio evidenzia bassi valori di rame sulle potature di vite ed elevate concentrazioni di questo metallo nel terreno sottostante la pianta, suggerendo quindi di adottare sistemi di raccolta in grado di limitare la presenza di terra mista alla potatura.
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