Di agente 007’ ce n’è uno solo e sappiamo benissimo che il suo nome è James. Quando sentiamo parlare di Nanobond, quindi, non illudiamoci pensando a un ipotetico continuo del celebre film dove il protagonista è un agente segreto.
Dopo questa simpatica e nostalgica parentesi torniamo a parlare di un argomento che ci sta molto a cuore: le acque inquinate. In particolare, del progetto Nanobond, prima citato, cofinanziato dal Fondo europeo per lo sviluppo regionale, di cui è coordinatrice scientifica la professoressa Ilaria Corsi, ecologa del dipartimento di Scienze fisiche, della Terra e dell’ambiente dell’Università di Siena.
In cosa consiste? Si tratta di una sorta di “nanospugne” per la pulizia delle acque, porti e fiumi. Parliamo quindi di nanomateriali che si ottengono da scarti o rifiuti agricoli utilizzabili appunto per la depurazione.
Lo chiarisce meglio la professoressa Corsi: ”I nanomateriali che abbiamo utilizzato per creare le nanospugne provengono dal settore del recupero degli scarti. Per questo tra i partner c’è anche Bartoli, un’azienda cartaria. Le nanospugne sono prodotte da cellulosa di carta da macero o da prodotti di scarto organico, i tuberi, da cui abbiamo ricavato l’amido". La missione di Nanobond è elaborare una strategia di bonifica delle acque inquinate, utilizzando dei nanomateriali che non siano nocivi per l’ambiente. “Nanomateriali che siano ecocompatibili – spiega la professoressa -. La ricerca sulla tecnologia di nanoremediation di Nanobond ha permesso di sviluppare un documento di raccomandazioni che contiene le linee guida per l’utilizzo dei nanomateriali ecocompatibili per la bonifica di siti contaminati”.